È ospitato nell'ex-convento benedettino di Sant'Apollonia, di cui conserva ancora il chiostro, molto raccolto e suggestivo. Memoria storica della diocesi veneziana, custodisce ed espone tele e sculture, gonfaloni, argenti e oreficerie, provenienti da chiese e conventi chiusi. In esposizione, anche opere di Palma il Giovane, Tintoretto, Tiziano, che, a rotazione, lasciano il posto ad altre opere, per restauro o per essere esposte in altri musei.
Per mille e un motivi, la Serenissima aveva tutto l'interesse a mostrarsi tollerante. Ai primi del XVIII secolo, giunsero in città dei monaci armeni, sfuggiti dalla Morea dopo l'invasione turca (un motivo ricorrente quello della persecuzione turca dell'Armenia, che ricorre continuamente nell'isola). La Serenissima donò loro unisola diruta, utilizzata in altre epoche come lebbrosario (da cui il nome san Lazzaro). I monaci si diedero da fare e sotto la guida di Pietro Mechitar (il consolatore) fondarono un monastero, un ordine religioso, appunto dei mechitaristi, una biblioteca che divenne il centro della cultura armena della diaspora. Ebbero il bene di essere risparmiati da Napoleone e continuarono nella loro opera di salvataggio culturale, istituendo una tipografia in caratteri armeni e cercando di collezionare i più antichi manoscritti che riuscissero a trovare.